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4 chiacchiere con Danilo Callegari: storie di un avventuriero estremo

17/06/2019 3:27

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Danilo Callegari è un avventuriero estremo innamorato della natura in tutte le sue forme, anche le più indomite e irriverenti. La voglia di scoperta lo spinge oltre i suoi limiti, oltre la paura, oltre l’imponderabile, fin nei luoghi più remoti della Terra, sulle vette delle montagne più impraticabili, nella profondità delle acque oceaniche, su immense distese desertiche e ghiacciate.

 

Partner delle sue spedizioni, Cargo Compass affianca Danilo in ogni sua nuova avventura, organizzando con meticolosa cura il trasporto di attrezzature e strumenti che gli occorrono per affrontare le sue immense traversate in solitaria.

Ce le racconta con trascinante spontaneità in questa nuova intervista, dove svela curiosità e aneddoti su alcuni dei suoi memorabili viaggi in tutto il mondo.

Danilo, conosciamo le tue passioni. Sei un avventuriero che ama viaggiare in solitaria, e le tue spedizioni ne sono la prova. Cosa ti spinge ogni volta a misurarti con i tuoi limiti e ad affrontare sfide così estreme?  

La passione per l’avventura. E poi la consapevolezza, anzi la certezza che i limiti siano soltanto nella nostra testa. Il resto è questione di lucidità e prontezza. Amo la natura nella sua spontaneità e con tutti i suoi imprevisti. L’emozione che provo in ogni avventura per me è vita, ma è anche quel sentimento che mi tiene lucido, attento, vigile… per superare quegli imprevisti che mi costerebbero la “pelle”. Perché anche tornare a casa, dopo ogni impresa, è sempre una grande emozione. Sono un avventuriero estremo, ma anche un attento e lucido pianificatore. E non potrebbe essere altrimenti…

Ecco, veniamo al succo più interessante. A proposito di imprevisti, te ne sono mai capitati durante le tue esplorazioni? Ne hai fatte tante e in condizioni veramente estreme. Ti sei mai trovato in qualche situazione inaspettata?

Una cosa assurda mi è capitata in America Meridionale durante la traversata in kayak del Lago Titicaca, tra Bolivia e Perù, nel 2011, durata due settimane su un’avventura complessiva di 4 mesi. Premetto che gli strumenti che porto con me dall’Italia sono necessari sia per il dispiego delle spedizioni che per la sopravvivenza. Tra le altre cose, in quella traversata in kayak, ho portato con me un cellulare iper tecnologico, per resistere fino a 10/15 metri di profondità. Talmente tanto abituato a guardare l’ora dal suo schermo e non dall’orologio, nel prenderlo per tirarlo fuori dal taschino del gilet finisce in acqua in un nanosecondo, senza darmi il tempo di afferrarlo. Considera che ero a 8/9 km dalla riva, dopo averne percorsi 300. Ci può anche stare!

 

Un’altra esperienza davvero particolare è stata quella in Antartide. Ribadisco di essere molto scrupoloso nell’organizzazione delle spedizioni, inclusa la rassegna pignola di tutto quello che mi serve e che mi faccio spedire via cargo. In quel viaggio ho portato con me due pannelli solari, enormi a dire poco… ci avrei potuto ricaricare un grattacielo! E in più, un pannellino molto meno potente che avevo già da tempo. Arrivato alla base americana, mi preparo per partire il giorno dopo decidendo di portare con me soltanto uno dei pannelli grandi, per non appesantire il carico durante la traversata, e per sicurezza anche quello piccolo. E per fortuna dico oggi, perché è finita che dopo 10 giorni il pannello grande mi ha mollato (è saltato l’inverter), e io sono impazzito per ricaricare modem satellitare, GPS e altri strumenti vitali con un banalissimo pannellino solare! Immagina una spedizione di quel calibro affrontata in quelle condizioni.

Un’altra impresa memorabile mi è capitata in Tibet, sull’Himalaya, a 7000 metri. Pianto la tenda al campo base e proseguo per raggiungere campo 1, campo 2 con tutto il materiale che serve nelle spedizioni in autonomia, quindi fornelli, sacco a pelo, zaini ecc. Tra un percorso e l’altro fra i vari campi, decido di lasciare lo zaino da 115 litri nella tenda al campo 2, e di prendere soltanto quello da 20 litri per essere più leggero. Il bello – si fa per dire – è che nello zaino grande avevo lasciato il portafogli con dentro soldi, carte di credito e passaporto. E quando sono tornato al campo 2 per riprendere tutto, la tenda era sparita sotto la neve! Mi è crollato il mondo addosso. Non avevo più nulla, né soldi né visti per uscire ed entrare in Cina, Nepal, India. E mi sarebbe servito tutto perché dopo la scalata avevo in programma la traversata in bicicletta di tutto il Nepal e l’India, fino alla punta più estrema. Morale della favola: sono comunque riuscito a portare a termine la traversata di 5000 km in bici, ma solo dopo mille peripezie, visite e telefonate tra ambasciate, uffici e funzionari vari, per ottenere visti e passaporto provvisorio. Me la sono vista davvero brutta, perché senza documenti passare da un territorio all’altro è un’impresa impossibile… forse anche più rischiosa della scalata di una montagna impervia!

Un’avventura nell’avventura, è il caso di dire. Ascoltando le tue imprese viene quasi scontato dedurre che se per caso dovessi dimenticare qualcosa a casa… sarebbero guai seri! Mi riferisco al materiale che ti serve durante le spedizioni e che più volte hai nominato…

Non ne parliamo proprio! Mi sale l’adrenalina al solo pensiero. La buona riuscita di ogni avventura estrema dipende prima di tutto dalla pianificazione meticolosa di ogni fase del viaggio, mio e dei miei “strumenti”. Loro viaggiano via cargo naturalmente e al mio arrivo devono essere lì, pronti insieme a me. Non avrei potuto esplorare l’Antartide senza la mia slitta, e quanta strada ha percorso la povera slitta passando per varie città europee, Brasile, Cile, e poi via terra. Ipotizzare imprevisti con il materiale significa mettere a dura prova l’intera spedizione. E questo sì che sarebbe un problema enorme, considerando il lavoro di organizzazione che c’è dietro, gli investimenti nella comunicazione, gli sponsor e quant’altro. Parliamo di spedizioni che se saltano per un disguido logistico creano un danno serio sia economico che d’immagine. Ecco perché prima di ogni viaggio programmo tutto con premura e mi sincero che tutto sia a posto con Cargo Compass che mi segue come un “angelo custode” ormai da anni, organizzando il trasporto del materiale ovunque nel mondo.

 

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Anche per quanto riguarda la merce pericolosa, tipo batterie particolari o altri strumenti, come potrei risolvere il problema della dogana se non avessi chi gestisce queste incombenze per me? Non potrei occuparmene. La tranquillità che mi dà sapere che ricevo tutto puntualmente e senza imprevisti per me non ha prezzo, a fronte della perdita che subirei se mi affidassi all’approssimazione.

Una domanda su un tema molto attuale quanto delicato: la salute del Pianeta. Nei vari luoghi e angoli più remoti che incontri durante i tuoi viaggi quanto si nota la presenza dell’uomo? Dalla tua testimonianza oculare siamo proprio messi tanto male con rifiuti, plastica, inquinamento…?

Be’, direi proprio di sì. E aggiungo che sono veramente poche le aree della Terra rimaste vergini. Purtroppo il passaggio dell’uomo si riconosce a vista d’occhio, dai rifiuti, e si respira nell’aria. Le volte che mi è capitato di trovarmi in un luogo incontaminato, ho immediatamente avvertito la differenza. Cambia tutto, dal clima all’ambiente. Purtroppo, lo stato di salute di molte aree del Pianeta dipende dalle grandi lacune di paesi, grandi città e piccoli villaggi di enormi continenti come l’Asia, per esempio, dove si fa una gran fatica a mantenere un certo regime di controllo e igiene ambientale. Pensa ai riti religiosi per cui ci si bagna nelle acque del Gange per purificarsi. Il Gange è il fiume più inquinato al mondo, e ancora oggi la gente osserva questa usanza malgrado studi e ricerche lo abbiano smascherato come la causa di malattie e alti tassi di mortalità. Oppure mi capita di veder lasciare a terra bottiglie di plastica, in modo del tutto naturale sia all’oasi di Goa che nella megalopoli di Delhi. Nessuna differenza!

Il problema dell’inquinamento purtroppo riguarda tantissime zone del mondo dove ancora mancano politiche di riciclaggio e dove la plastica viene bruciata. Durante la mia traversata in India ho respirato diossina per almeno 3700 km, e ad altissimo tasso di umidità. Se a tutto questo aggiungiamo lo smog di automobili e mezzi pesanti, usati per il trasporto, il quadro è allarmante.

E tu da amante estremo della natura come ti poni di fronte al problema dell’inquinamento? Fai delle scelte consapevoli per ridurre l’impatto sull’ambiente? 

Mi è capitato di trovarmi in luoghi dove non vi fosse traccia di contenitori per i rifiuti, e non parlo di territori selvaggi, brulli, che ci passi attraverso portandoti con te le cose che poi getti al primo angolo civilizzato. In alcuni casi, anche laddove immagini di trovare un seppur vago segnale di civiltà, di bidoncini e contenitori neanche l’ombra! Porto tutto con me finché posso, cerco di non lasciare mai nulla. Per non parlare dell’inquinamento causato dalla selvaggia emissione di CO2 che ognuno di noi contribuisce, spesso senza pensarci, a produrre con viaggi e trasporti. Visto che per quanto impegno ci si metta, è impossibile evitare di spostarsi per raggiungere “a impatto zero” certi luoghi, mi sento in dovere fare qualcosa di concreto per contenere il più possibile queste emissioni di carbonio che uccidono l’aria e massacrano l’ambiente.

Cargo Compass sta promuovendo un’iniziativa fighissima – Eco4Cargo – cui ognuno può aderire per ridurre l’inquinamento causato dal trasporto della propria merce. La trovo una bellissima idea di trasporto ecosostenibile, una filosofia da sposare appieno, anzi da divulgare quanto più possibile perché rende tutti responsabili e mette tutti al centro di un impegno verso se stessi e verso l’ambiente. Io la sostengo e promuovo prima di tutto per me stesso, a salvaguardia della mia salute, e poi perché amo la natura e le sue meraviglie.

Progetti per il futuro?

Presto per parlarne… ma l’acqua in pentola bolle sempre!

 

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Paolo Calamendrei
Written by Paolo Calamendrei